Cenni sull’Interpungere Manzoniano – Introduzione

Cenni sull’Interpungere Manzoniano – Introduzione

Pubblico in questo spazio alcuni capitoli della mia tesi triennale “L’evoluzione della punteggiatura nei Promessi Sposi“.

Considerati i notevoli interventi del Manzoni sul piano lessicale e fonomorfologico, lo scopo di questo studio era quello di appurare se trasformazioni di un certo peso, anche se non di tale portata, si fossero verificate anche riguardo alla punteggiatura.

Tra le caratteristiche generali dell’interpungere manzoniano (caratteristiche che permangono quindi da un’edizione all’altra), possiamo annoverare:

1) La rigorosa distinzione, attraverso convenzioni tipografiche costanti, tra il parlato [""] e il discorso mentale [- -], che così spesso e così efficacemente si alternano e si fanno contrappunto nel romanzo (basta pensare al colloquio tra il Cardinale e Don Abbondio).

2) L’abbondante uso dei puntini di sospensione, di cui il Manzoni sfrutta tutte le possibilità, sfumandone il significato in gradazioni impercettibili. In lui il “non detto”, il semplicemente alluso, acquisisce un’importanza e uno spessore pari, se non superiore, al “detto”.

3) La pregnanza e il rilievo assunti dall’impiego della parentesi, promossa da semplice espediente pratico per aggiungere precisazioni fuori contesto a luogo deputato per i commenti, gli “a parte” dell’autore.

Quanto alle differenze d’interpunzione tra la Ventisettana e la Quarantana, l’unico intervento rilevante consisterebbe in un incremento nell’uso della virgola (osservato da emeriti studiosi quali il D’Ovidio e il Ghisalberti), anche se il Manzoni non sembra applicare un criterio sistematico di modifica. Resta in ogni caso fondata l’impressione di una maggiore analiticità nell’edizione definitiva, dovuta al rigore con cui l’autore scandisce, marca i componenti del periodo e in particolare gli incisi.

Scrive il Tommaseo (Colloqui col Manzoni) sull’interpungere manzoniano:

“Siccome egli ha una maniera di recitare sua, chiara e semplice, come per insegnarci che non è grandezza vera senza semplicità [...]; così punteggiando abonda nelle virgole, per distinguere nettamente ogni parte del concetto e trasfonderlo distinto ai lettori nell’animo e nella mente.
Quel ch’altri non consegue con un formicolare di ammirativi e di esclamativi o di puntolini, che fanno le viste di voler sottintendere quello che l’autore non ha bene inteso e di far sentire più che l’autore non sente; egli l’ottiene con qualche virgola di più, che mette ogni cosa nella conveniente proporzione in rilievo”.

Questa avversione nei confronti dell’abuso, del continuo ricorso agli indicatori di tonalità (esclamativi, puntini di sospensione, ecc.) la ritroviamo anche nel Leopardi, come si vedrà nel primo capitolo qui riportato.

Nota: l’edizione di riferimento è quella a cura di A. Chiari e F. Ghisalberti (Milano, Mondadori). Per ogni esempio vengono indicati, in quest’ordine: 1- l’appartenenza all’edizione del ’27 (V) o a quella definitiva (Q); 2- il capitolo in cifre romane; 3- la pagina in cifre arabe.

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