Cenni sull’Interpungere Manzoniano – La Lineetta

Com’è noto, la lineetta era (considerando come periodo di riferimento la prima metà del XIX secolo) un segno d’interpunzione piuttosto recente, di probabile origine inglese. Sembra che il primo testo in cui compare sia la traduzione cesarottiana delle poesie di Ossian (Padova 1763), che con la sua notorietà avrà contribuito a diffonderlo.

Esso infatti furoreggia fra tardo Settecento e primo Ottocento, al punto da suscitare la protesta del Leopardi: “Che è questo ingombro di lineette, di puntini, di spazietti, di punti ammirativi doppi e tripli, che so io?” (Zibaldone, p. 975).

Il Foscolo ne fece scialacquo nella traduzione di Sterne e nell’Ortis, con un vasto settore d’impiego, perché, oltre ad introdurre turni dialogici e inserti parentetici, segnala eventuali cambi di progetto e funziona come “marca espressiva”.

Nelle grammatiche settecentesche della lineetta, naturalmente, non si parla. Nel secolo successivo i primi a farne menzione sono il Franscini e il Moise, che ne circoscrivono la funzione a incorniciare incisi e a contrassegnare turni dialogici. Talvolta viene confusa col trait-d’union, «che si segna tra due parole in composizione, o fra due parti d’una stessa parola, ovvero in principio ed in fine di qualche proposizione o periodo che vogliasi più fare osservare».

Nei PS, sia in V (Ventisettana) che in Q (Quarantana), l’uso della lineetta è drasticamente ridimensionato: mentre le virgolette servono ad aprire e chiudere il discorso diretto pronunciato, le lineette hanno lo scopo d’indicare che le parole poste al loro interno non vengono pronunciate, ma unicamente pensate, servono insomma a introdurre, se così si può dire, il discorso diretto interiore o mentale:

V III 45: «Il dottore […] si meravigliava. Che sia matricolato costui, pensava tra sé» (= Q 46-7)
V XXV 441: « Hanno votato il sacco stamattina coloro, pensò don Abbondio» (= Q 438)
V XXXIV 591: «A Renzo intanto sovvenne di que’ pani […] e pensava: ecco: l’è una restituzione, e forse meglio che se avessi trovato il padrone proprio; perché qui è veramente opera di misericordia. » (= Q 589).

Questa pratica, seppur maggioritaria, non è tuttavia costante. Osservo per esempio:

V XV 259-60: «”Matto minchione!” disse nella sua mente al povero addormentato: “sei proprio andato a cercartela […]“» (= Q 259-60).

Un esempio particolarmente significativo dell’uso manzoniano si trova nel colloquio tra l’oste della Luna Piena e il notaio criminale, in cui il contrappunto tra parole proferite e parole pensate viene accentuato anche visivamente dagli espedienti grafici adottati:

V XV 263: «”Avete fatto il vostro dovere a darcene avviso,” disse un notaio criminale, ponendo giù la penna: “ma già lo sapevamo.”
Bel mistero! pensò l’oste: ci vuole una grande abilità!
“E sappiamo anche,” continuò il notaio, “quel riverito nome.”
Diavolo! il nome mo, come hanno fatto? pensò l’oste questa volta.
“Ma voi,” ripigliò l’altro, con volto serio, “voi non dite tutto sinceramente.”
“Che cosa ho da dire di più?”» (= Q 263).

Si possono osservare altri due speciali impieghi della lineetta. Nel primo, con una soluzione tipograficamente agile, la lineetta serve a distinguere diverse voci che si accavallano, senza bisogno di chiudere e di aprire nuove virgolette (ma nel secondo esempio Manzoni eliminò in Q tutti i trattini):

V III 38: «”Parla, parla! Parlate, parlate!” gridarono a un tratto la madre e lo sposo» (= Q 40)
V XIII 227: «Cento voci si spargono all’intorno. “Che è? dov’è? chi è? Un servitore del vicario. Una spia. Il vicario travestito da forese, che scappa. Dov’è? dov’è? dalli, dalli!”» → Q 227: «”Cos’è? dov’è? chi è? Un servitore del vicario. Una spia. Il vicario travestito da contadino, che scappa. Dov’è? dov’è? dalli, dalli!»
V XIII 229: «”È qui Ferrer! Non è vero, non è vero! Sì, sì; viva Ferrer […]. No, no! È Qui, è qui in carrozza. Che fa questo? che c’entra egli? non vogliamo nessuno! Ferrer! viva Ferrer! […]. No, no: vogliamo far giustizia noi: indietro, indietro! Sì, sì […]“» (= Q 228).

Nel racconto di fra Galdino, infine, la lineetta apre (ma non chiude) il discorso diretto, ossia lo scambio di battute tra il padre Macario e il benefattore, inserito nel discorso diretto principale, costituito dal racconto stesso del frate:

V III 50: «”Oh! dovete dunque sapere che in quel convento v’era un nostro padre […] Che fate voi a quella povera pianta? domandò il padre Macario. Eh, padre, sono anni che non la mi vuol far noci, ed io ne faccio legna. Non fate, non fate, disse il padre: sappiate che quest’anno la porterà più noci che foglie. Il benefattore, che sapeva chi era colui che avea detta quella parola, ordinò subito ai lavoratori che gettassero di nuovo la terra sulle radici; […]» (= Q 52).

Continua con… I puntini di sospensione

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