Adelchi del Manzoni: critica e autocritica

Adelchi del Manzoni: critica e autocritica

La tragedia venne pubblicata per la prima volta nel 1822, e tradotta in Francia e in Germania. Qui conobbe un successo particolare, grazie all’entusiasmo e all’ammirazione che suscitò in Goethe (grande studioso di lingue, naturalista, scrittore e poeta), un intellettuale di spicco nel panorama culturale dell’epoca.

Quello che secondo Goethe è degno infatti della massima approvazione è che “egli [sc. il Manzoni] abbia [...] prestato a personaggi d’un’epoca semibarbara, una mentalità e dei sentimenti d’una delicatezza quale non può produrre che la più alta cultura religiosa e morale dei tempi nostri”. Si pensi all’estremo atto di silenziosa protesta di un’Ermengarda, donna innamorata e tradita per la sete di potere, “la ragion di stato”; ad Adelchi stesso, saggio, prudente (nell’accezione che il termine ha in greco antico, phronimos, l’uomo prudente non per viltà ma per il più alto sapere, il “buon senso” che lo distingue dagli altri), e allo stesso tempo coraggioso, fedele al padre e alla sua causa, pur non condividendone lo spirito.

Il Manzoni ha saputo dar vita a delle figure di carta, ha immaginato per loro (poiché nessun documento storico poteva far luce su questo, solo “indicare la strada”) un forte sentire e una eccezionale levatura morale, “imprimendole” così nella mente dei lettori. Ha fatto quel che probabilmente attraverso una semplice e obiettiva analisi storica non sarebbe riuscito a fare: ha unito alla storia l’invenzione, per permettere alla gente di imparare e ricordare, per invitare le persone a soffermarsi su una questione di carattere storico (Longobardi “docili” e integrati con la popolazione indigena oppure crudeli oppressori?) introducendo il tema in modo piacevole, e cioè con un’opera teatrale – piena di personaggi fuori dell’ordinario – legata al periodo da esaminare. L’invenzione al servizio della storia. Per imparare, per iniziare a ragionare, si deve partire dal “fantastico”, da qualcosa che sia in grado di emozionare, di risvegliare l’interesse. Personaggi privi di caratterizzazione psicologica (quali la storia, concentrata su date ed eventi, inevitabilmente ci consegna) non possono catturare l’attenzione e l’”affettività” del lettore.

Inoltre, come afferma Goethe, “ogni poesia in fondo converte i soggetti che tratta in anacronismi: qualsiasi passato, da noi evocato per presentarlo a nostro modo ai contemporanei, deve concedere all’antichità una cultura superiore a quella che ebbe; la coscienza del poeta si dia pace, e il lettore abbia la compiacenza di chiudere un occhio”.

alessandro manzoniMa è proprio questo binomio, storia + invenzione, a costituire fin dall’inizio un serio motivo di cruccio per il Manzoni, tanto che arriverà più tardi a rifiutare il principio teorico alla base del  romanzo storico (1845): la storia e la creazione fantastica (“il romanzesco”) sono infatti come l’olio e l’acqua, destinate a rimaner separate, a non potersi mai “fondere”.

Già negli anni dell’Adelchi – e proprio in relazione alla stesura iniziale dell’Adelchi – possiamo trovare i germi, i primi indicatori, i “sintomi” di questo pensiero che verrà progressivamente cristallizzandosi; ecco cosa scrive il Manzoni all’amico Fauriel, nel Novembre del 1821 (prima di accingersi alla revisione della tragedia):

Dal momento che v’ho detto che la mia tragedia di Adelchi era terminata, salvo la revisione, bisogna che vi dica anche che non ne sono del tutto contento; e se in questa vita così breve si sacrificassero tragedie, questa non sfuggirebbe alla distruzione. Ho immaginato il carattere del protagonista su dati storici che ritenevo fondati [...]; ho fabbricato su questi dati; li ho estesi e mi sono accorto, quando il mio lavoro era ormai avanzato, che in esso non c’era niente di storico. Ne vien fuori un colore romanzesco che mal s’accorda con l’insieme e che sconcerta me stesso non meno che un lettore mal disposto. [...]. Vi dico tutto ciò per addolcire con un’umile confessione il difetto che vi farà la lettura di questo povero Adelchi”.

E, nelle Note Storiche che introducono l’opera (quindi dopo la stesura definitiva), leggiamo:

Per ciò che riguarda la parte morale, s’è cercato d’accomodare i discorsi dei personaggi all’azioni loro conosciute, e alle circostanze in cui si son trovati. Il carattere però d’un personaggio, quale è presentato in questa tragedia, manca affatto di fondamenti storici: i disegni d’Adelchi, i suoi giudizi sugli avvenimenti, le sue inclinazioni, tutto il carattere insomma è inventato di pianta [...] con una infelicità, che dal più difficile e dal più malevolo lettore non sarà, certo, così vivamente sentita come lo è dall’autore.

Autocritica questa che non sarà da imputare a un’eccessiva e ostentata modestia esibita dallo scrittore, ma ad una reale “crisi artistica”, a una lenta presa di coscienza che influenzerà tutta l’attività letteraria del Manzoni.

 

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